“Non è un semplice ritratto, è un’ umanità che urla. Non vuol essere vista, vuole essere sentita”
Ci sono momenti nella vita di ognuno di noi in cui la linearità delle cose si interrompe, si spezza, trascinando via con sé tutte le speranze
per far posto all’ingombrante peso dell’angoscia.
Parlo di quei momenti, difficili, che abbiamo attraversato tutti: quei momenti che esplodono dentro con la loro miscela di rabbia e di disillusione.
Vorresti urlare, vorresti gridare al mondo la tua rabbia, sfogarti lasciando uscire quell’urlo che senti gonfiarsi dentro e che non riesci a far uscire,
a partorire, forse l’unico rimedio a quel dolore che senti dentro…
Michele Mattiello in quell’urlo ha voluto affondarci le mani.
Ha affondato le mani in quel gesto di catarsi emotiva, barriera di confine fra intimità ed atto autoterapeutico, registrandone le sfumature, fisiche, corporee,
trascinandoci in una micidiale opera empatica. Quelle figure “messe a nudo”, corpi senza nome che emergono da un’oscurità che puzza di inferno,
individui che “si mettono a nudo” per liberarsi del male che li divora, sono un momento di toccante coinvolgimento in cui l’autore ci conduce
con dignitosa maestria
Si tratta di persone comuni, sconosciuti che accettano di condividere il proprio malessere con l’obbiettivo dell’autore che,
enfatizzando ancora di più il momento, recupera la tecnica del photo transfer ( una tecnica di asportazione dell’immagine fotografica dal proprio supporto
tipica delle vecchie polaroid) e la adatta ai mezzi di stampa moderni, staccando l’immagine dal supporto come una sorta di espiazione: l’immagine si fa pelle,
si fa carico di quel dolore staccandosi dal suo corpo originario per depositarsi su un foglio di carta acquarello dove ognuno di noi, guardandola,
ritroverà un poco di sé.
Dario Ceoldo