Nell’ eterna ricerca del proprio posto nel mondo, l’uomo ha dovuto confrontarsi con la scissione fra la percezione di sé stesso e l’immagine che ne ha la società.
Pagine e pagine si sono spese sull’argomento, cercando di approfondire quel divario fra interiore ed esteriore, fra “ciò e che si è” e “ciò che si appare”, senza in fondo pervenire al tanto ambito chiarimento.
In questo vagare alla deriva fra sterili definizioni esistenzialiste, l’onda lunga della Modernità, sempre bisognosa di qualità istantanee, si è lentamente impadronita dell’idea di corpo collocandolo all’interno di nuovi e più proficui modelli. quell’“inutile” bagaglio intimo un tempo chiamato “anima”, non è più necessario.
Grazie anche alla complicità dei Media infatti, la funzione del corpo è mutata, passando dall’essere elemento intrinseco ed imprescindibile all’esistenza (“io sono il mio corpo”) ad oggetto di possesso (“io ho il mio corpo”) da uniformare e su cui investire. Il corpo cioè ha ormai in sé tutte le categorie richieste alla valutazione: ciò che sta dietro è secondario.
Un’evoluzione distopica, dove i precetti dell’apparenza sono diventati il metro campione con cui confrontarsi per definire l’identità sociale di ciascuno e rifuggirne le difformità.
Inquadrati in schemi sempre più rigidamente ordinati, l’atto di riappropriarsi liberamente del proprio corpo può assumere i connotati più inaspettati.
Da quella iniziale tensione fra un esteriore sempre più quantificabile e un interiore sempre più trascurato, il libero arbitrio sul proprio corpo diventa un gesto per autoaffemare sé stessi e la propria unicità di fronte al mondo. Fioriscono in questo modo interventi più o meno temporanei: dalle sgargianti colorazioni dei capelli ai disegni all’Henné sulla pelle o a dilatatori e Piercing in ogni dove fino ad arrivare al tatuaggio, segno indelebile per antonomasia. Nati come segno di appartenenza e riconoscimento inclusivo presso le culture arcaiche dei vari continenti, la funzione dei tatuaggi oggi sembra essersi rovesciata, diventando piuttosto testimonianza di quel bisogno che l’essere umano ha di comunicare la propria unicità.
Talvolta ricordo, talvolta testimonianza, talvolta persino trionfo della leggerezza sul peso stesso del mondo, ornamento o moda, quel segno sulla pelle rende il corpo un veicolo di messaggi, una bottiglia che approda su una spiaggia da mari lontani con un foglio al suo interno.
Nella sua ricerca fotografica Michele Mattiello ha raccolto insieme alcuni di quei messaggi creando un inedito mazzo di segni che fiorisce dal buio. Con la sapiente cura di artigiano della luce qual è, porta la nostra attenzione su quei disegni, su quei solchi d’inchiostro e sulle storie che raccontano, ognuna diversa, ognuna a sé.
Persino la pelle, il tessuto su cui sono scritte quelle storie, perde d’ importanza. Separato dalla propria riconoscibile identità, deposto in secondo piano si perde in forme nuove, scolpite da una luce resistente che sembra strappata all’oscurità.
Ed è forse proprio in quell’oscurità che arretra per lasciar emergere quei segni indelebili, la chiave per comprendere che, forse, solo portando alla luce la parte più intima di noi stessi, potremo comprendere quel tesoro inestimabile che è la nostra unicità.
Dario Ceoldo